La parete rosso Malevič – The Malevich red wall
Suprematismo alla Malevič su questa rossa parete di un ristorante romano.
Vedere dentro le cose senza restare imprigionati in superficie.
Per rilassarsi basta poco. A volte ancora meno.
ENGLISH
Malevich Suprematism on this red wall in a Roman restaurant.
See into things without being trapped in the surface.
It’s easy to relax. Sometimes even easier.
Tanti segni e sfumature su una semplice parete rossa.
Pennellate di colore per dimostrare, ancora una volta, che si puó vedere ovunque
Malevic mi piace da morire.
Giusto domenica scorsa ho parlato di suprematismo, di fotografia fine a se stessa, al Rovereto Immagini 2011… In risposta ho avuto “sei di difficile lettura”…..
É solo il reportage, ora, l’unica forma di fotografia ufficialmente “concessa”??!
I tuoi scatti, caro Umberto, sono un un chiaro e forte stimolo a perseverare alla continua ricerca di un “florilegio zen” di scatti che non siano necessariamente solo reportage!
E’ vero caro [en-ku]!
Sembra che la fotografia debba necessariamente rimanere confinata negli angusti – e spesso sopravvalutati – confini del reportage.
Io la penso diversamente e, per fortuna, non sono il solo.
A mio modesto parere l’interpretazione, che conduce a visioni del tutto personali, rappresenta una sfida spesso più interessante della mera descrizione.
D’accordo con entrambi! En-ku , c’è poco da fare, è cosí ma è davvero un fenomeno tutto italiano. Le foto che vengono pubblicate, che realizzano libri, vincono contest, attualmente riguardano solo reportage e purtroppo solo dello stesso tipo. Guerra, sempre prima, ma purtroppo anche le solite storie: il trans, il malato incurabile, il figlio abbandonato, ahhhh i manicomi quelli attirano tantissimo, poi anche il sociale ma chissà perchè solo quello triste, tristissimo. Per fortuna i bambini del corno d’Africa ultimamente, dopo Salgado, li stanno facendo solo morire di fame e hanno smesso di sparargli la lente in bocca.
Peró, girando un po’ per il mondo, si trovano bei libri, fotogtafia fine a se stessa e suprematismo del pensiero
I confini e gli stereotipi sono sempre sbagliati.
Ho riscontrato anch’io un’attenzione esagerata per il reportage, anche quando quest’ultimo non è di grande livello.
Credo che il motivo sia da ricercarsi nella comprensione. Il reportage è alla portata di tutti, la fotografia fine a se stessa non sempre.
Il pubblico quindi si restringe e si finisce inesorabilmente nella nicchia. E non che questo sia un difetto, anzi.
Bisogna però constatare che anche la fotografia fine a se stessa ha degli ottimi, dei buoni e dei pessimi interpreti.
Quest’ultimi rischiano seriamente di compromettere un intero movimento di pensiero.
Evviva le nicchie. Evviva la nicchia!!!