23
Set
2011
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La parete rosso Malevič – The Malevich red wall

Suprematismo alla Malevič su questa rossa parete di un ristorante romano.

Vedere dentro le cose senza restare imprigionati in superficie.
Per rilassarsi basta poco. A volte ancora meno.

ENGLISH

Malevich Suprematism on this red wall in a Roman restaurant.

See into things without being trapped in the surface.
It’s easy to relax. Sometimes even easier.

8 Responses

  1. [ e n - k u ]

    Giusto domenica scorsa ho parlato di suprematismo, di fotografia fine a se stessa, al Rovereto Immagini 2011… In risposta ho avuto “sei di difficile lettura”…..
    É solo il reportage, ora, l’unica forma di fotografia ufficialmente “concessa”??!
    I tuoi scatti, caro Umberto, sono un un chiaro e forte stimolo a perseverare alla continua ricerca di un “florilegio zen” di scatti che non siano necessariamente solo reportage!

  2. mm

    E’ vero caro [en-ku]!
    Sembra che la fotografia debba necessariamente rimanere confinata negli angusti – e spesso sopravvalutati – confini del reportage.
    Io la penso diversamente e, per fortuna, non sono il solo.
    A mio modesto parere l’interpretazione, che conduce a visioni del tutto personali, rappresenta una sfida spesso più interessante della mera descrizione.

  3. D’accordo con entrambi! En-ku , c’è poco da fare, è cosí ma è davvero un fenomeno tutto italiano. Le foto che vengono pubblicate, che realizzano libri, vincono contest, attualmente riguardano solo reportage e purtroppo solo dello stesso tipo. Guerra, sempre prima, ma purtroppo anche le solite storie: il trans, il malato incurabile, il figlio abbandonato, ahhhh i manicomi quelli attirano tantissimo, poi anche il sociale ma chissà perchè solo quello triste, tristissimo. Per fortuna i bambini del corno d’Africa ultimamente, dopo Salgado, li stanno facendo solo morire di fame e hanno smesso di sparargli la lente in bocca.
    Peró, girando un po’ per il mondo, si trovano bei libri, fotogtafia fine a se stessa e suprematismo del pensiero

  4. Michela

    I confini e gli stereotipi sono sempre sbagliati.
    Ho riscontrato anch’io un’attenzione esagerata per il reportage, anche quando quest’ultimo non è di grande livello.
    Credo che il motivo sia da ricercarsi nella comprensione. Il reportage è alla portata di tutti, la fotografia fine a se stessa non sempre.
    Il pubblico quindi si restringe e si finisce inesorabilmente nella nicchia. E non che questo sia un difetto, anzi.
    Bisogna però constatare che anche la fotografia fine a se stessa ha degli ottimi, dei buoni e dei pessimi interpreti.
    Quest’ultimi rischiano seriamente di compromettere un intero movimento di pensiero.

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